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DALL’AVV. EMANUELE ARGENTO: INTERESSANTE SENTENZA N.D. DEL TRIBUNALE CIVILE DI LANCIANO DEL 4.10.2024 SU RAPPORTO BANCARIO DI CONTO CORRENTE CON AMMISSIONE DI C.T.U. CONTABILE PER ACCERTARE IL SALDO DEL CONTO CORRENTE E LE SOMME DOVUTE ALL’EX CORRENTISTA DA PARTE DELLA BANCA!

Sentenza non definitiva del Tribunale Civile di Lanciano del 4.10.2024 – Giudice Dott. Giovanni Nappi – Rimessione in istruttoria per lo svolgimento di CTU contabile per l’accertamento del saldo del conto corrente

Rapporto Bancario – Contratto di conto corrente con apertura di credito – Ammissibilità della domanda attorea di accertamento negativo del credito ovvero dell’indebito anche se proposta con il conto corrente aperto – Illegittimità dell’interesse usurario (meramente) sopravvenuta, della commissione di massimo scoperto non correttamente pattuita – Espletamento di C.T.U. contabile.

Il correntista ha interesse all’accertamento giudiziale, prima della chiusura del conto, della nullità delle clausole anatocistiche e dell’entità del saldo parziale ricalcolato, depurato delle appostazioni illegittime, con ripetibilità delle somme illecitamente riscosse dalla banca, atteso che tale interesse mira al conseguimento di un risultato utile, giuridicamente apprezzabile e non attingibile senza la pronuncia del giudice, consistente nell’esclusione, per il futuro, di annotazioni illegittime, nel ripristino di una maggiore estensione dell’affidamento concessogli e nella riduzione dell’importo che la banca, una volta rielaborato il saldo, potrà pretendere alla cessazione del rapporto; il correntista, sin dal momento dell’annotazione in conto di una posta, avvedutosi dell’illegittimità dell’addebito in conto, ben può agire in giudizio per far dichiarare la nullità del titolo su cui quell’addebito si basa e, di conseguenza, per ottenere una rettifica in suo favore delle risultanze del conto stesso: e potrà farlo, se al conto accede un’apertura di credito bancario, proprio allo scopo di recuperare una maggiore disponibilità di credito entro i limiti del fido concessogli” (Cass. n. 30850/2023).

Deve “considerarsi nulla per indeterminatezza dell’oggetto la clausola che preveda la commissione di massimo scoperto indicandone semplicemente la misura percentuale, senza specificare le modalità di calcolo e di quantifica-zione della stessa”, in particolare “senza alcun riferimento al valore sul quale dovesse essere calcolata tale percentuale”, “posto che, in tal caso, il correntista non è, invero, in grado di conoscere quando e come sorgerà l’obbligo di dover corrispondere la suddetta commissione alla banca” (Cass. n. 19825/2022).

Il Tribunale osserva che l’usura (meramente) sopravvenuta è l’usurarietà oggettiva delle dazioni conformi a pattuizioni non usurarie; ossia l’usurarietà di pattuizioni di costi del credito antecedenti il 24 marzo 1996 oppure derivante esclusivamente dal successivo abbassamento del tasso soglia.

La Corte di Cass. Sez. Un. 24675/2017 ha affermato che la qualificazione di usurarietà oggettiva ai sensi dell’art. 644 c.p., e quindi di antigiuridicità sia penale sia civile (anche ai fini della sanzione civile della nullità), può essere fatta solo al momento della pattuizione, in quanto in tal senso è univocamente la norma d’interpretazione autentica introdotta dall’art. 1, c. 1, del d.l. 394/2000; ma la pretesa di interessi divenuti usurari può integrare, “in presenza di particolari modalità o circostanze”, violazione del principio di buona fede oggettiva nell’esecuzione del contratto.

Peraltro, pattuizione che, se usuraria, comporta l’applicazione della sanzione punitiva di cui all’art. 1815, c. 2, c.c. è non solo la pattuizione originaria, ma anche qualsiasi pattuizione successiva, e anche la regolare variazione in peius in attuazione di ius variandi conforme all’art. 118 d.lgs. 385/1993. Inoltre, deve ritenersi che, ai fini dell’usura, rilevi come pattuizione anche la concreta e stabile (per più di un trimestre) applicazione di condizioni complessive usurarie integrante variazione in peius irregolare ai sensi dell’art. 118 d.lgs. 385/1993.

Infatti, l’inefficacia delle modificazioni unilaterali peggiorative del contratto in violazione delle regole procedimentali dello ius variandi in peius non può risultare in un vantaggio per la banca che abbia concretamente applicato condizioni usurarie, senza averle nemmeno previamente pattuite con il cliente o introdotte con una regolare modificazione in peius (segnalazione a cura dell’Avv. Emanuele Argento del Foro di Pescara – www.avvocatoargento.it)

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